Tragedia di Rigopiano, quasi tutti assolti. Lacrime e sdegno dei parenti: “Vergogna”. Il giudice rischia l’aggressione. Salvini: “Questa non è giustizia”
La sentenza a tre anni dall’avvio del processo: cinque condanne su 30 imputati. I familiari hanno appoggiato su 29 sedie altrettante magliette bianche con le immagini dei loro parenti morti
PESCARA. Sono 25 le assoluzioni e cinque le condanne – ma per reati minori – decise del gup di Pescara, Gianluca Sarandrea, sulla tragedia dell'Hotel Rigopiano di Farindola, travolto e distrutto il 18 gennaio 2017 da una valanga, evento in cui morirono 29 persone. I 30 imputati tra amministratori e funzionari pubblici, oltre al gestore e al proprietario della struttura, erano accusati a vario titolo dei reati di disastro colposo, omicidio plurimo colposo, lesioni, falso, depistaggio e abusi edilizi.
Lacrime e sdegno dei parenti delle vittime dopo la sentenza: tra le persone assolte ci sono l’ex sindaco di Farindola, Massimiliano Giancaterino, e l'ex prefetto del capoluogo adriatico, Francesco Provolo. Tra i cinque condannati c’è invece (2 anni e 8 mesi) il sindaco Ilario Lacchetta, accusato di non avere emesso l’ordinanza di sgombero quando il pericolo pareva evidente.
«Attenderemo le valutazioni della sentenza per valutare il ricorso all'Appello – dice il capo della Procura pescarese, Giuseppe Bellelli: ciò che emerge chiaramente è che è stato cancellato il reato di disastro colposo». Ma il vicepremier Matteo Salvini definisce già – come i familiari delle vittime – «vergogna» il verdetto di oggi: «Ventinove 29 morti e nessun colpevole o quasi? Questa non è "giustizia", questa è una vergogna. Tutta la mia vicinanza e la mia solidarietà ai famigliari delle vittime innocenti».
Il dramma 6 anni fa
Ventinove persone persero la vita quando l’hotel fu travolto da una valanga. Undici i superstiti. La sentenza arriva a tre anni dall’avvio del processo. Per assistere alla sentenza, oggi, i familiari delle vittime hanno appoggiato su 29 sedie altrettante magliette bianche con le immagini dei loro parenti morti nel disastro.
Chi sono i condannati
Il dirigente e il responsabile del servizio di viabilità della Provincia di Pescara, Paolo D'Incecco e Mauro Di Blasio, sono stati condannati a tre anni e quattro mesi di reclusione per le accuse di omicidio plurimo colposo e lesioni multiple colpose. I due sono ritenuti responsabili relativamente al monitoraggio della percorribilità delle strade rientranti nel comparto della Sp8, e alla pulizia notturna dalla neve, e a quella relativa al mancato reperimento di un mezzo sostitutivo della turbina Unimog tg CK 236 NB fuori uso, nonché alla mancata chiusura al traffico veicolare del tratto stradale della provinciale 8 dal bivio Mirri e Rigopiano. Gli altri due condannati sono Bruno Di Tommaso, gestore dell'albergo e amministratore e legale responsabile della società «Gran Sasso Resort & SPA» e Giuseppe Gatto, redattore della relazione tecnica allegata alla richiesta della Gran Sasso spa di intervenire su tettoie e verande dell'hotel: entrambi sono stati condannati a sei mesi di reclusione per falso.
In aula esplode la rabbia dei parenti
Tensione altissima dopo la pronuncia della sentenza. «Vergogna vergogna. Ingiustizia è fatta. Assassini. Venduti. Fate schifo», gridano i parenti di chi è morto. Lacrime e urla tanto da richiedere l'intervento di poliziotti e carabinieri, costretti a bloccare la tentata aggressione al giudice, blindato in aula. Sconvolto e infuriato in particolare Alessio Feniello, papà di Stefano, arrivato simbolicamente in bicicletta da Verona.
«Questi hanno una discarica al posto del cuore! Speriamo nell'appello, ma se questo è l'andazzo non spero più niente, devo solo salvaguardare la mia vita per portare avanti il nome di mia figlia», dice pochi istanti dopo la lettura della sentenza il padre di Jessica Tinari, morta nel resort di Farindola a 24 anni insieme al fidanzato Marco Tanda. «Noi pretendiamo rispetto dalle istituzioni, paghiamo con le nostre tasse i loro lauti stipendi e questi delinquenti ci trattano in questo modo. Meglio che stia zitto, sennò non so cosa posso dire», conclude allontanandosi tra le lacrime. Urla in aula Francesco D'Angelo, fratello di Gabriele D'Angelo, cameriere dell'hotel, morto nel crollo: «Sei anni buttati qua dentro! Per fare che? Tutti assolti, il fatto non sussiste! Quattro minuti di chiamata! Chi ha chiamato mio fratello? Chi ha chiamato?», urla disperato ricordando le telefonate di Gabriele dirette verso la Prefettura la mattina del 18 gennaio 2017. D'Angelo, alle 11,38, circa cinque ore prima della valanga, chiamò il Centro coordinamento soccorsi della prefettura per chiedere di liberare la strada e consentire agli ospiti dell'hotel di lasciare la struttura
Le richieste dall’accusa
Le richieste erano state molto alte: la condanna più pesante, 12 anni, è stata chiesta per l'ex prefetto Francesco Provolo; tra le altre richieste di condanna ci sono gli 11 anni e 4 mesi chiesti per il sindaco, in carica, di Farindola (Pescara), Ilario Lacchetta, i sette anni e otto mesi per il gestore dell'hotel Bruno Di Tommaso, i sei anni per l'ex presidente della Provincia Antonio Di Marco. Sul fronte del depistaggio in Prefettura, 2 anni e 8 mesi per Daniela Acquaviva e Giulia Pontrandolfo; due anni per Giancarlo Verzella.
La difesa: “Tante cose non convincono”
«Ci sono tante cose in questo processo che non mi hanno convinto», commenta Romolo Reboa, avvocato che assiste alcuni familiari delle vittime. Parla di cose «extra processo, fuori processo». «Purtroppo – dice – i processi si fanno nei limiti del dedotto e del deducibile, ciò che avevo contestato l'ho contestato espressamente in aula, l'ho contestato varie volte, non sono nuovo a queste contestazioni. Voglio sia chiaro che chi è stato dichiarato non colpevole in questo momento è non colpevole. La legge va rispettata. Il problema - conclude l'avvocato - era capire se i veri colpevoli stavano o meno dentro questo processo, ma questa è un'altra vicenda».
Il presidente dell’Abruzzo: «Dolore e sorpresa»
Per il presidente della Regione Abruzzo, Marco Marsilio, «la sentenza provoca dolore e sorpresa, e non possiamo non comprendere i sentimenti dei familiari delle vittime e dei superstiti». Nello stesso tempo «abbiamo il dovere come rappresentanti delle Istituzioni di rispettare la sentenza e di prendere atto della decisione del Giudice. Naturalmente, per esprimere un giudizio più completo e valutare le eventuali ulteriori azioni che la Regione potrà e dovrà intraprendere, dobbiamo attendere la pubblicazione delle motivazioni, che leggeremo e studieremo con la necessaria attenzione».
Pubblicato su Il Mattino di Padova