Omicidio nell’ascensore a Mestre: per il gip fu “agguato pianificato” e convalida l’arresto dei due indagati
Ancora oscuro il movente dell’agguato mortale
Lorenzo Nardelli non è stato massacrato di botte perché voleva compiere un furto, ma perché sarebbe finito in 'un agguato mortale' nel momento in cui ha oltrepassato la soglia dell'appartamento dei due cugini moldavi Radu e Marin Rusu. La svolta nella ricostruzione dell' 'omicidio dell'ascensore', a Mestre, è emersa al termine dell'interrogatorio di garanzia dei due indagati, sentiti separatamente oggi in carcere dal gip Alberto Scaramuzza.
Il giudice, secondo quanto è trapelato dall'avvocato difensore dei Rusu, avrebbe affermato di non essere convinto dalla tesi del furto, anche per via di alcune contraddizioni emerse nei due lunghi interrogatori. Cosa abbia spostato l'asse delle indagini sulla pista della "trappola mortale", non è dato sapere al momento. «Vista la gravità dell'accusa, tutto era scontato - ha detto l'avvocato Jacopo Trevisan - ma non il perché dell'agguato pianificato». Sul controverso capitolo delle telefonate che i Rusu avrebbero fatto mercoledì notte al 112, secondo il giudice si tratterebbe di chiamate «di copertura, fatte dopo l'accaduto».
Sul corpo di Nardelli è stata eseguita l'autopsia. I primi esiti confermerebbero che il 32enne sarebbe stato ucciso dai violenti colpi ricevuti a mani nude, alla testa e al torace. Il referto del medico legale Cristina Mazzaroli parla di politrauma cranico e toracico con lesioni da 'trattenimento' riscontrate sulle braccia del giovane, che potrebbe essere stato bloccato da uno dei due indagati, mentre l'altro lo picchiava. Scaramuzza ha convalidato l'arresto ed ha emesso una nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere. I due sono accusati di omicidio volontario.
Dal canto loro, gli indagati hanno ribadito la versione del tentato furto in casa. Hanno sostenuto che stavano cenando, e bevendo grappa, in casa quando all'improvviso si sarebbero trovati davanti Lorenzo Nardelli. Nelle prime dichiarazioni rese la notte dell'arresto - quando furono trovati dalla polizia dentro l'ascensore con il corpo della vittima - avevano anche raccontato di due presunti complici di Nardelli. Che adesso però sembrano definitivamente usciti dalla scena.
Sulla tesi del tentato furto, l'avvocato Trevisan incalza: «se anche questo non fosse - osserva - sarebbe opportuno trovare un movente, che al momento manca nel modo più assoluto». «Se si vuole ipotizzare altro - continua - perché non si parla di conti in sospeso, ma non ci sono prove, o forse sarebbe più facile dire che Nardelli ha sbagliato porta entrando in un palazzo dove, oltre a residenti anziani, c'è anche chi pratica la prostituzione e lo spaccio». Un altro dei misteri da risolvere: perché Nardelli sarebbe arrivato al civico numero 9 di Rampa Cavalcavia con la propria auto, parcheggiata diligentemente in uno spazio davanti al condominio? Di quell'auto mancano ancora le chiavi. «Non sono state trovate e non sono in possesso dei miei assistiti» conclude Trevisan.
Pubblicato su Il Mattino di Padova