Femminicidio Cecchettin, Turetta piange in aula: «L’ho uccisa perché volevo tornare con lei»
L’interrogatorio di Filippo Turetta a Venezia: «Ho pensato di rapirla e toglierle la vita. Il mio futuro? Vorrei sparire». Ammette la premeditazione e racconta le ultime fasi dell’omicidio. In aula anche Gino Cecchettin. Il difensore: «Come sta? E’ un coniglio bagnato»
«Ho pensato di rapirla, e anche di toglierle la vita, ero confuso, io volevo stare ancora assieme a lei». Risponde così Filippo Turetta, venerdì 25 ottobre davanti alla Corte d’Assise di Venezia, durante l’interrogatorio per il femminicidio di Giulia Cecchettin, laureanda di Vigonovo uccisa quasi un anno fa, l’11 novembre 2023.
E andando avanti con il fuoco di fila delle domande, Turetta ha ammesso la premeditazione dell’omicidio e ha raccontato nel dettaglio le fasi finali dell’omicidio: «Volevo colpirla al collo per non farla soffrire, lei alzava le mani per difendersi, e allora ho tentato di colpirla più velocemente possibile da altre parti».
All’uscita dall’aula, l’emozione del papà di Giulia, Gino Cecchettin: «E’ un grande dolore sapere cosa ha provato Giulia negli ultimi momenti della sua vita».
«Non penso al mio futuro, l'unica cosa a cui penso è che sia giusto affrontare questo ed espiare la colpa per quel che ho fatto. Non so perché non ho chiesto scusa, ma penso che sia ridicolo e fuori luogo, vista la grave ingiustizia che ho commesso», ha ammesso Turetta, sollecitato dal proprio difensore, «Sarebbe ridicolo dare semplici scuse per qualcosa di inaccettabile. Potrebbero solamente creare ulteriore dolore per le persone che già provano dolore per quel che è successo. Vorrei sparire».
L’interrogatorio è durato quasi sei ore e mezza. Si torna in aula il 25 e 26 novembre: parola alla Procura, alle parti civili e alla difesa per le conclusioni. Il 3 dicembre la sentenza. «Perché l’ho uccisa»
Incalzato dalle domande dell’avvocato di parte civile Nicodemo Gentile, dopo quasi tre ore di interrogatorio (prima aveva risposto al pm Andrea Petroni), Turetta è scoppiato in lacrime.
«Perché lei ha ucciso Giulia?», gli ha chiesto l’avvocato. E Turetta risponde, letteralmente: «Comunque non so dirlo semplicemente con un motivo. È difficile, penso che in quel momento come cioè stavo sì, io volevo tornare insieme a lei e tornare ad avere un rapporto. Provavo un sentimento verso di lei che avevo rabbia». Poi scoppia a piangere. «Mi creava sconforto e rabbia e lei, c’è chi sta peggio ovviamente ma Io incolpavo lei. Per questo volevo che il nostro destino fosse lo stesso per entrambi».
Pensare di abbandonare il corpo di Giulia e poi suicidarsi «forse non ha avuto senso», ha proseguito l’imputato tra pause e lacrime silenziose. «Mi rendevo conto che doveva essere ferita, in cattive condizioni, evitare di vedere questo, pensavo fosse meglio così. Sono immagini brutte, non so come dire».
Filippo Turetta è accusato di omicidio volontario premeditato e aggravato dalla crudeltà e dai legami affettivi, oltre che di occultamento di cadavere: accusa (potenzialmente) da ergastolo.
L'avvocato della difesa ha detto che «Filippo ha autorizzato a farsi riprendere perché è giusto che dica quello che è accaduto e che ci metta la faccia».
L’interrogatorio
Turetta si è presentato in aula vestito con pantaloni neri ed una felpa grigia con cappuccio, in mano una cartellina con alcuni documenti.
Sin dalle prime risposte, in relazione a una memoria scritta dall’imputato e depositata dalla difesa alla Corte, Turetta è apparso a tratti confuso, con la voce e gli occhi bassi, alternando frasi brevi a silenzi. Tanti i “non ricordo”.
«Ho pensato di rapirla, e anche di toglierle la vita, ero confuso, io volevo stare ancora assieme a lei». Così ha risposto Filippo Turetta alle prime domande del pm Andrea Petroni.
«Ero arrabbiato, era un bruttissimo periodo, volevo tornare assieme a lei e per quello ho ipotizzato questo piano per quella sera». Il pm gli ha quindi chiesto quando avesse iniziato a scrivere appunti su quello che stava progettando: «Ho iniziato a farlo il 7 novembre (2023, ndr)», ha risposto Turetta, «Perchè ho cominciato a pensare, avevo tanti pensieri sbagliati».
L'omicidio della studentessa avvenne tre giorni dopo, l'11 novembre. Turetta ha quindi spiegato di aver scritto la memoria depositata venerdì 25 ottobre al processo e le lettere precedenti «in più volte nel tempo, ricostruendo quanto era accaduto, per mettere ordine. Ho cominciato a febbraio-marzo, e ho proseguito tutta l'estate, fino a questi giorni. Prima ho scritto di getto, poi ho riletto e messo in ordine quelle parti che di getto non avrei potuto scrivere». La premeditazione
Filippo Turetta ha ammesso in aula di aver detto «una serie di bugie» nel primo interrogatorio con il pm Andrea Petroni. Venerdì, anche alla luce dei memoriali fatti avere alle parti, ha dunque ammesso di aver premeditato l'omicidio di Giulia Cecchettin così come gli viene contestato dalla procura.
Turetta ha ammesso che da alcuni giorni precedenti il delitto aveva stilato la «lista delle cose da fare», compreso prelevare contante con il bancomat, da gettare per far perdere le proprie tracce, così come aveva studiato in Internet come evitare che la propria auto fosse individuata durante la fuga.
Nel primo interrogatorio davanti agli inquirenti, Turetta aveva affermato che lo scotch era stato acquistato per «appendere manifesti», i coltelli perché «pensava di suicidarsi».
Dalle ammissioni di Turetta emerge la conferma delle tesi di accusa secondo cui lo scotch serviva per legare Giulia e che i coltelli erano stati messi in auto ben prima dell'11 novembre, giorno del delitto. Di fatto, è emerso che tutta la vicenda è supportata - come da indagine - da una serie di atti preparatori, alcuni dei quali non messi in atto all'ultimo momento, ad esempio l'acquisto di altro materiale. La ricostruzione di Turetta
«Giulia stava scappando, forse l'avevo colpita in auto, su una coscia, non ricordo, poi non so se è caduta o l'ho fatta cadere a terra. Lei urlava e l'ho colpita ancora». E' un passaggio della ricostruzione dell'omicidio di Giulia Cecchettin fatta da Filippo Turetta in aula al processo, riferendosi a quanto avvenne tra Vigonovo a Fossò, quando mentre tentava di imbavagliare Giulia per non farla urlare lei riuscì ad aprire la portiera dell'auto.
In Corte d'Assise, l'ex fidanzato reo confesso dell'omicidio ha ricostruito alcune parti della serata che ha portato alla morte di Giulia riferendo che vicino a casa della ragazza a Vigonovo aveva impugnato uno dei coltelli, «Poi mi sono trovato in mano solo il manico. Non ricordo, forse l'ho colpita, poi l'ho caricata in macchina».
E sempre a Vigonovo, Turetta aveva tolto il cellulare a Giulia. «Penso di averlo preso, io era nella borsetta che le avevo tolto per impedire che lo usasse».
Poi l'ex fidanzato ha ricostruito le fasi finali dell'omicidio. «Volevo colpirla al collo per non farla soffrire, lei alzava le mani per difendersi, e allora ho tentato di colpirla più velocemente possibile da altre parti».
Nel corso dell'udienza è anche emerso che nei giorni precedenti l'omicidio, in una gelateria di Padova, Turetta aveva avuto un pesante scontro verbale perché voleva tornare insieme a lei, e di averle dato uno schiaffo a una coscia: «Lei - ha sottolineato - si lamentava sempre perché ero assillante».
«In macchina avevo preso il cellulare di Giulia per allontanarlo da lei, per spegnerlo insomma. Poi, dopo Fossò, l'ho buttato dal finestrino, assieme al coltello, mi pare in un fossato, un piccolo canale che circonda un terreno, ma non ricordo con precisione dove»: così Turetta ha risposto sul mancato ritrovamento del cellulare della ragazze. Gino Cecchettin lo fissa
Il padre di Giulia Cecchettin, Gino, segue la deposizione di Filippo Turetta tenendo lo sguardo fisso sull'assassino reo confesso di sua figlia, che ha rivisto in aula per la prima volta da quando Giulia è stata uccisa.
Turetta, a pochi metri da lui sul banco degli imputati, non lo ha mai incrociato con gli occhi, o così almeno è parso.
Il difensopre di Turetta, Giovanni Caruso, fissa costantemente negli occhi Filippo, seguendo lo sconnesso filo di parole che pronuncia nel tentativo di rispondere al pm. L'avvocato Gentile: «Un uomo senza empatia»
«Turetta ha punito Giulia perché non voleva tornare con lui. E' un omicidio premeditato, dove un uomo senza empatia ha colpito. Purtroppo, gli uomini senza empatia sono tutti uguali». Lo ha detto Nicodemo Gentile, avvocato di parte civile per Elena Cecchettin, sorella di Giulia, durante una breve pausa dell’udienza.
Il circo mediatico
Ad attendere l’arrivo di Turetta con il furgone della polizia penitenziaria dal carcere di Montorio (Verona) dov’è detenuto dall’arresto a fine novembre 2023, uno stuolo di giornalisti, fotografi e operatori delle tv locali e nazionali.
Il primo ad arrivare è stato il difensore di Turetta, l’avvocato Caruso, seguito dal padre di Giulia, Gino Cecchettin, con i legali Stefano Tigani e Nicodemo Gentile.
La memoria di Turetta
«Filippo depositerà uno scritto di circa 40 pagine in cui a mente fredda cerca di ricostruisce punto per punto i suoi ricordi e di aggiungere o integrare quanto detto durante i lunghi interrogatori».
Lo ha detto il suo difensore, l'avvocato Giovanni Caruso, all'arrivo in Corte d'Assise a Venezia. «Come sta Turetta?», è stato chiesto al legale. «E’ un coniglio bagnato, si può dire?», la risposta di Caruso. La sorella Elena assente
Elena Cecchettin, la sorella di Giulia, su Instagram venerdì mattina ha lasciato una story nella quale spiega il motivo per cui non sarà in aula: «Non per disinteresse, ma per prendermi cura di me stessa».
"Piccolina, non sai quanto vorrei che mi dicessi che corri a casa ora. Mi manchi tanto". È la dedica a Giulia Cecchettin postata con una storia su Instagram dalla sorella, Elena, alla vigilia della seconda udienza del processo in Assise. La storia è corredata da alcune fotografie inedite che le ritraggono insieme, in momenti diversi della loro vita.
Pubblicato su Il Mattino di Padova