Morto nella lite a Padova, preso e denunciato l’aggressore
L’uomo ha ammesso di aver dato una manata alla vittima, l’accusa per ora è di omicidio preterintenzionale
Gli agenti della polizia gli hanno notificato l’atto con il quale è venuto a conoscenza che è indagato a piede libero, senza nessuna misura, dell’omicidio preterintenzionale del connazionale Jawwad Akhtar di 54 anni.
Lui è un 35enne pachistano, K.S. individuato fuori Padova, colpevole l'8 agosto in via Jappelli di aver spinto a terra Akhtar che da quanto è emerso aveva iniziato il battibecco per primo. E’ stato lui stesso ad ammettere di aver dato la spinta, leggera ma fatale al connazionale.
L’uomo dopo la caduta a terra e la violenta botta sull’asfalto è morto dopo due settimane, il 24 agosto e da allora dal reato di lesioni si è passati a quello di omicidio preterintenzionale.
Akhtar era arrivato a Padova nel 2002 grazie a un permesso di lavoro mentre nell’aprile di quest’anno, appena quattro mesi fa, aveva ottenuto la cittadinanza italiana.
La ricerca di un futuro migliore aveva spinto Jawwad Akhtar a voltare le spalle alla sua Karachi, al suo Pakistan, dov’è nato e cresciuto. Ma a Padova, sua città d’elezione, ha trovato il tragico epilogo quando dalla colluttazione con un connazionale la notte dell’8 agosto ha perso conoscenza entrando in coma.
«Quando vai in un paese straniero tanto lontano da casa, ci vai per lavorare. Non per farti amici». È una triste premessa, doverosa, che fa un amico di Jawwad. «Siamo stati coinquilini per due anni», racconta Khadir Seddik.
I due pachistani hanno vissuto insieme in zona Fiera, in via Pescarotto. «Jawwad è venuto a Padova da solo, il resto della famiglia è rimasta tutta in Pakistan», spiega l’amico, «lì ha un fratello maggiore, Anuar, e una sorella. Non si è mai sposato, né ha figli. Qui in Italia aveva solo un cugino col quale si sentiva poco. Alla fine eravamo noi la sua famiglia».
Con un tono commosso, Khadir prosegue. «Ma non ha mai avuto tanti amici», osserva, «Non per una questione di carattere ma si impegnava molto per lavorare. Per molti di noi immigrati è così. Noi abbiamo la famiglia, lui è rimasto sempre solo e questo ha pesato molto sulla sua vita. Negli ultimi anni, purtroppo, aveva iniziato a bere molto».
Dalle telecamere di via Jappelli sequestrate dalla Questura sono emersi dettagli che suggeriscono che Jawwad fosse ubriaco la notte dell’8 agosto. È lui inoltre a essersi avvicinato al trentacinquenne che lo ha poi colpito. Fatale è stata la caduta di Jawwad con l’asfalto, dove ha battuto forte la testa causando un trauma cranico. Dopo venti giorni in coma, in condizioni stabili, si era da pochi giorni svegliato quando un improvviso peggioramento ha spezzato ogni speranza.
Molti i padovani che hanno incrociato i loro passi con il cinquantaquattrenne: per anni ha lavorato in un banco ortofrutta in piazza delle Erbe. «Era sempre gentile coi clienti e lavorava sodo», lo ricorda un collega fruttivendolo di nome Ali, del Bangladesh. Di recente Jawwad aveva anche iniziato a fare pulizie in alcuni uffici nella zona del Portello. La famiglia ha espresso la volontà che l’uomo sia seppellito a Padova, nell’area mussulmana del Cimitero Maggiore: restano in attesa del nullaosta della Procura
Pubblicato su Il Mattino di Padova